Efficienza Informativa del Mercato dei Capitali

La teoria di Fama

Un rilevante contributo alla teoria dell'efficienza informativa deriva dagli studi di Fama, il quale ammette che condizioni sufficienti, ma non necessarie, affinché un mercato sia informativamente efficiente sono:
 
  1. l'assenza di costi di transazione;
  2. l'esistenza di completezza e di simmetria informativa;
  3. la presenza di aspettative omogenee e razionali sui rendimenti attesi.
L’esistenza di tali condizioni rendono nulle tutte quelle variabili, come l’asimmetria informativa tra cedente e cessionario e l’abilità contrattuale delle parti, che normalmente influenzano il processo di negoziazione e comportano un prezzo di vendita diverso dal valore del capitale economico dell’impresa.
Sulla base di tali postulati, l'autore ha individuato tre diverse forme di efficienza:
 
  1. efficienza in forma debole: i prezzi di mercato riflettono esclusivamente le informazioni storiche sull'andamento degli stessi;
  2. efficienza in forma semiforte: i prezzi di mercato riflettono, oltre alle informazioni storiche sull'andamento degli stessi, anche quelle di dominio pubblico (bilanci di società, servizi di borsa telematici, notizie di stampa ecc.);
  3. efficienza in forma forte: i prezzi di mercato riflettono tutti i tipi di  informazioni, pubbliche o private che siano.
Se il mercato è efficiente da un punto di vista informativo allora i rendimenti conseguiti dagli investitori sono pari a quelli attesi, ossia non si può “battere” il mercato. In altre parole, il prezzo dell’impresa eguaglia perfettamente il valore attuale dei flussi di dividendo che la stessa sarà in grado di generare in futuro, ossia, il prezzo di borsa dell’azienda coincide con il valore del capitale economico della stessa.

Premesso quanto sopra esposto, la domanda da porsi è la seguente: Il mercato è efficiente da un punto di vista informativo? Ed in caso di risposta affermativa, di che tipo di efficienza si può parlare?

 
Dipende da quali sono le informazioni “rilevanti” per determinare il prezzo del titolo.
Empiricamente è possibile dimostrare che se le informazioni rilevanti per la definizione del prezzo di un titolo sono quelle storiche riguardanti le precedenti fluttuazioni del titolo considerato e quelle pubbliche (bilanci dell’impresa, notizie di stampa ecc.), allora mercato è efficiente da un punto di vista informativo. Quindi il mercato dei capitali, empiricamente, presenta una efficienza semiforte.
Tuttavia, se le informazioni rilevanti per la definizione del prezzo di un titolo sono anche quelle private, spesso fruibili da pochi che operano all'interno dell'azienda, allora il mercato non riesce ad essere efficiente da un punto di vista informativo e il prezzo di borsa dell’impresa non coinciderà più con il valore del capitale economico della stessa. La riprova di ciò è rappresentata dal fenomeno dell’”insider trading” con il quale si è dimostrato che l'utilizzo di informazioni riservate permette di “battere” il mercato e di ottenere rendimenti superiori a quelli attesi. Infatti, chi ha delle informazioni riservate su una azienda conosce il reale valore del capitale economico della stessa e, quindi, il suo reale prezzo. Sulla base di tali informazioni può ottenere dei guadagni superiori a quelli attesi vendendo le quote dell’azienda se questa è sopravvalutata, oppure acquistarle se è sottovalutata.
In conclusione, se esistono delle informazioni riservate rilevanti per determinare il vero valore dell’impresa il mercato, probabilmente, non sarà capace di coglierle e, quindi, il prezzo di borsa dell’impresa non esprimerà il reale valore del capitale economico della stessa.

 

Le Critiche alla Teoria di Fama

L’ipotesi di efficienza informativa (semiforte) è contestata da diversi autori, i quali evidenziano l'esistenza di diversi trends che, se seguiti, permetterebbero di battere il mercato.
 

I° trend

Partendo dal presupposto che se un mercato è efficiente da un punto di vista informativo allora il prezzo di mercato di un'azienda coincide con il valore attuale dei dividendi futuri della stessa, Schiller ha evidenziato che storicamente i prezzi di molte aziende sono risultati di gran lunga diversi dal valore attuale dei dividendi che le stesse sono state in grado di generare successivamente. 
Ciò dimostrerebbe una divergenza tra il prezzo espresso dal mercato e il reale valore delle azienda, pari quest'ultimo al valore attuale dei dividendi attesi.

 

II° trend

Uno studio americano ha dimostrato che le che le aziende che presentano un price to earnings molto alto (dette aziende growth) rispetto alla media del mercato, nell’arco di un anno sono meno remunerative delle imprese  con un price to earning basso ( dette aziende value) rispetto alla media del mercato.
Ciò presuppone che le aziende con un price to earning basso, in realtà, siano state sottovalutate dal mercato. Quando il mercato si accorgerà di ciò, l’aumento della domanda delle azioni value spingerà il prezzo delle stesse verso l'alto permettendo a chi già detiene tali titoli di conseguire dei rendimenti superiori a quelli attesi.
Tale studio dimostra così l'esistenza di una regola che governa il mercato e che permette di conseguire dei rendimenti superiori a quelli attesi. Ciò sarebbe impossibile in un mercato dei capitali efficiente.


III° trend

Studiando l'andamento dei prezzi delle azioni di alcune aziende nei 3-5 anni precedenti è stato dimostrato che:
  1. le imprese che hanno dei redditi molto inferiori rispetto alla media storica degli stessi riescono successivamente a conseguire dei profitti migliori, vedendo aumentare il proprio valore;
  2. le aziende che registrano degli utili di gran lunga superiori alla media storica degli stessi successivamente tendono a stabilizzarsi verso livelli di reddito più bassi, vedendo diminuire il proprio valore.
Quindi c'è un “ritorno al valore medio” dei titoli che permette, a chi è a conoscenza di tali andamenti, di battere il mercato.


Alessandro D'Antonio